Ode amorosa alla Pachamama declamata in un mercato di Cuzco.

Seduto dalla signora dei succhi, leggendo il Cuzqueno e sorbendo il mio liquado di ananas e fragola, piña y fresa por favor, con agua, es agua herbida verdad?, con l’occhio che mi cade sul mazzetto verdeggiante di alfalfa e sullo sfondo di talee di aloe vera che spuntano tra le granatine e le papaya giganti, fertili di semi avvolti in quella loro melmetta trasparente, una sorta di bile vegetale sacra. Mi sposto di non più di quindici metri prima di farmi convincere da un’altra signora, tutta in bianco come le sue colleghe, a prendere posto nella minuscola panca davanti al suo banchetto. Ordino un lomo saltado, con palta por favor, sarebbe l’avocado (o ahuacate), a seconda della bioregione. Mi ingozzo per non distinguermi dagli altri, mentre la signora segue affacendata con gli altri clienti. Un arroz con pollo, un huevo revuelto, un refresco de piña, es agua herbida verdad? es agua hervida papito lindo!. Le amo, lo so che l’ho già scritto, ma quando mi chiamano “papito”, o meglio ancora “papito lindito”, il mio cuore scoppia di amore nei confronti di queste donne sapienti, delle loro mani che hanno già superato le mille tonnellate di patate sbucciate, dei loro grembiuli a quadretti (bianchi e rosa o bianchi e azzurri). Tutta la cordigliera si regge sulle spalle di queste creature meravigliose, istanze terrene dell’idea stessa di Pachamama, madri e commercianti, guerriere quando necessario. Impossibile non amarle. Il cupido andino è nascosto dietro una montagna di carote gialle e grandissime. Mentre la sua freccia incantata schiva magicamente le borse appese nella bancarella di artesanias,  sfiora i lama sacrificali stecchiti tra le erbe medicinali, passa in mezzo ai due pan dulces della signora con le trecce lunghissime, per poi finalmente colpirmi, io sto finendo il mio piatto.Uscendo dal mercato mi rendo conto di amare questo paese e questo continente, colorati e pieni di vita. Pieni di diversità, di contraddizioni ma soprattutto di affetto tra le persone, e ripenso alla signora che mi ha chiamato “papito lindo”…

I Girardengo dii poveri s’aa Strada daa Morte.

Ce sta ‘na città ‘n Bolivia che se chiama La Paz. Anche se sapemo bbene che de capitale ce ne sta una sola ar monno, dicheno che questa qua è a più arta de tutte. Poi ce sta ‘na strada, a “Strada daa Moorte”, che ‘n po’ come l’Appia che ce porta da Roma ai Castelli, questa qua te porta da La Paz a Coroico. Però, e qua er però ce sta ttutto, tocca dì ch’aa Strada daa Morte scende de più de tremila metri. Praticamente inizia a quasi sciunquemila metri d’artitudine, pe arrivà a manco millecinque.  Sta stradella qua, io e er sor Tommy, saa semo fatta en bici, e ve lo dico cari amisci, e ‘na bbomba!

Iniziamo de bon mattino a La Cumbre, fa ‘n freddo cane, ce sta a nebbia e minaccia pure de piove. Man mano che scennemo, a strada se fa sempre più brutta, fino a che, a ‘na certa, se ritrovamo a core su ‘na mulattiera sterrata a ttuttaa bbira. Piano piano er paesaggio cambia. Prima tutto deserto, poi, più ggiù, se inizia a véde una veggetazione tipo naa ggiungla, anche se ancora stamo a svariati metri d’artezza. L’aria se fa più carda e morto più umida, tipo d’estate a Roma, pure peggio pe’ divve. Ce stanno dei ruscelletti che tocca attraversà caa bici, e che ve lo dico a fa’, ce stanno varie gringhe che se arenano e se fanno’n bagnetto fuori programma… Poi artre cascatelle da passacce sotto e così via.

Aaa fine de tutto ce sa sta na salitella de sciunque minuti, dic’aa guida. Però a me, e pure all’artri, nun ce pare na salitella, anzi disciamo che ce sventra. Finarmente arivamo alla fine de sti sessanta chilometri de pura tecnica ciclistica, stremati e ch’ee gambe che fanno ggiacomo-ggiacomo, ma contenti d’esse du Girardengo dii poveri…

Intendiamoci

Non è questo il racconto di gesta impressionanti, ma neppure quel che si direbbe normalmente un racconto un po’ cinico; per lo meno, non vuole esserlo. E’ un segmento di una vita raccontata nel momento in cui ha percorso un determinato tratto…

Un uomo nell’arco di sei mesi della propria vita può pensare a molte cose, dalla più alta speculazione filosofica, al più basso anelito per un piatto di minestra ed un letto pulito, in totale correlazione con il suo stato di stanchezza; e se al tempo stesso ha in sé qualcosa dell’avventuriero, in questo lasso di tempo può vivere momenti che forse risulteranno interessanti ad altre persone, e il cui racconto spassionato risulterebbe qualcosa di simile a questo blog.

Così, la moneta fu lanciata in aria, volteggiò a lungo su sé stessa, cadde una volta su “testa” e qualche altra su “croce”. L’uomo, misura di tutte le cose, parla qui per bocca mia e racconta nel mio linguaggio ciò che gli occhi hanno visto; magari su si dieci “teste” possibili ho visto solo una “croce”, o viceversa, questo è probabile e non ci sono attenuanti; la mia bocca narra quello che i miei occhi le hanno raccontato.

Forse la mia vista non è mai stata panoramica, ma sempre fugace e non sempre adeguatamente informata, e i giudizi sono troppo netti? D’accordo, ma questa è l’interpretazione che una tastiera ha dato all’insieme di impulsi che avevano portato a battere sui tasti, e quegli impulsi sono ancora vivi, volteggiano nell’aria che mi circonda, nella casa di Tommaso a Cochabamba, si mescolano con il fumo della sigaretta che produce strane forme nell’alba Boliviana, e si preparano a cambiare, a modificarsi, ad evolvere.


Liberamente tratto da “Latinoamericana” di Ernesto Che Guevara (Universale Economica Feltrinelli p. 17).

Senza titolo

Allora. Sono stato dappertutto.
Dal Brazil, molto in breve: autosop su camion enormi e autobus fino a Posadas, Argentina.
Da lì a El Soberbio, poi Iguazu. Poi attraversare tutto il Paraguay su strade sterrate. Attraversare il confine con la Bolivia e prendere per Sanata Cruz. Da lì Autobus a Cochabamba. Io sto lì, calle Labadenz 606 (citofono 4b). La casa del Tommy “Mantici del Fuoco Coloniale” Vicario per la precisione.

In tutto ciò mi hanno affascinato:
– il World Rainbow Gathering in Argentina;
– le Cascate di Iguazù;
– il tucano Simon che stava nell’ostello a Santa Cruz de la Sierra;
– le scimmie e i ragni nel giardino botanico di Santa Cruz;
– tutto;

mentre non mi hanno affascinato:
– la orrenda infezione che ho vicino al gomito;
– la polizia Paraguaya;
– il tipo che mi ha estorto 100 Bolivianos mostrandomi una pistola in pieno centro.

Ya man!