Cosa ho visto.

Non esiste un vocabolario online di greco antico, e qui in Perù non sono molto diffusi nelle librerie, ma se non ricordo male, in greco antico il verbo “sapere”, oìden, è in realtà costituito dalla radice del verbo “vedere”, nella sua forma di aoristo, ovvero uno dei tempi passati, corrispondente più o meno al nostro passato remoto. Ad un livello molto elementare si potrebbe dire che in greco antico “io so” si dice “io vidi”.

La Pandamericana è giunta per la seconda volta a Lima, partendo da Buenos Aires, via terra. Tra poco lascerò il Continente. Tutto questo mi fa riflettere. Chi ero prima di partire e chi sono ora. Cosa ho imparato.

Quando sono partito, poco più di sei mesi da ora, non avevo idea di quello a cui stavo andando in contro. Avevo un taccuino pieno di appunti, dati, tempi di percorrenza, prezzi. Avevo un piano. Pensavo di arrivare in Centroamerica, e da lì prendere un aereo (o una barca) per l’Australia. Sono arrivato a Lima (due volte), e prenderò un aereo per il Canada. Pensavo di visitare paesi che non ho visitato, e non immaginavo che sarei stato  nè in Cile, nè in Urugay, nè in Brasile, nè in Paraguay. E invece ci sono finito.

Ho visto molte cose, ho conosciuto moltissime persone, e ho avuto un’infinità di tempo per  riflettere. Ho scavato dentro di me, mi sono gingillato nel passato e nel futuro. Ho imparato a stare nel presente e a parlare in spagnolo con chi non voleva parlare.

Voglio cogliere l’occasione per ringraziare e salutare tutti quelli che hanno condiviso parte di questo cammino con il sottoscritto. La maggior parte di loro rimarrano senza nome, come la signora che mi sgridò a Uyuni, Bolivia, quando feci una foto a suo figlio. O come il ragazzo del Perurail, a cui abbiamo incasinato il vagone scambiandoci di posto nel treno da Cusco a Ollantaytambo. O come il tizio che mi faceva il succo di “mango con leche” ogni mattina nel mercato di Magdalena, a Lima. Poi c’è Julia, la signora che allevava le sue pecore, raccoglieva le sue erbe per farne pigmenti naturali, e dopo la tosatura filava la lana e tesseva meravigliosi “telar” nelle montagne vicino a Chinchero, nel Valle Sagrado del Inca. Ci sono Josh (NZ), Jonathan (USA), Miz (AU), Remco e Manuel (Olanda), Lucia (Argentina), Hugo (Spagna), Cat (GB), Mio (Jap) e la sua compagna dal nome irricordabile, Juan (Urugya), Bruna e Leandro e Hamiltom (BR), Freddy (Peru), lo sciamano che mi ha guidato in un’esperienza fondamentale di questo viaggio e moltissime altre persone che non leggeranno mai questo blog, ma a cui voglio dire “grazie” e “ciao ciao”.

Ora questa avventura sta per finire, una nuova è pronta per cominciare e di nuovo non so immaginare quello che mi aspetta, ma a differenza dell’ultima volta, ora so di non saperlo.

Cuzco connection.

Mentre la partenza per il Canada si avvicina, e sento il continente che mi scivola sotto le suole consumate delle uniche scarpe che posseggo, mi accingo a raccontare le ultime Panda-gesta.

Dopo La Paz, una lunga traversata in autobus mi porta a Cuzco, la città che fu un tenpo capitale del grande impero Inca, e che oggi è capitale dell’impero turistico peruviano. Una città molto, molto, molto bella, dove le antiche mura fatte di pietre tagliate (non si sa come) alla perfezione fanno da fondamenta agli edifici post-conquista. A parte le folle di gringhi ed israeliti insopportabili, Cusco possiede un’inifinità di cose da vedere nel raggio di pochi kilometri.

La prima Panda-avventura si chiama Salkantay. Un tour di 5 giorni, 80km e più di 8000 metri di dislivello totale, tutto a piedi, fino a Macchu Picchu, il celeberrimo sito archeologico che rappresenta la fortuna della città (e anche l’etichetta della migliore birra peruviana). Tra montagne altissime e avvolte nella nebbia, e cloud forest, cammino con altri viaggiatori (Inglesi, Argentini, Uruguaiani, Spagnoli, Inglesi e Giapponesi), a volte avvolto (che allitterazione!) nelle pesanti sciarpe di alpaca, a volte sudando in pantaloni corti. Il primo e secondo giorno sono estremi, si cammina senza sosta, anche per dieci ore al giorno, e si dorme in tenda, spesso nel freddo umido delle Ande altissime.

Il quinto giorno è il Grande Giorno. Il Macchu Picchu Day. Ci svegliamo ad un’ora improbabile, è ancora buio. Ci dirigiamo verso il primo cancello del sito per correre su, su, su fino all’entrata di Macchu Picchu e ottenere il timbro che ci permetterà di salire fino al Wainapicchu, la montagna di fronte al villaggio Inca. E’ una gara tra turisti assonnati e sudati, ma ce la facciamo, anzi ci difendiamo piuttosto bene, grazie ai quattro giorno di allenamento…

Ma per il Wainapicchu non basta il timbro, non c’è una scala mobile che ti porta su, bensì un’altra serie interminabile di scalini ognuno alto come un bambino tedesco di 25 anni, ovvero circa 1,83m. La vista ripaga (in parte) lo sforzo.

Il tour si conclude con il ritorno a Cusco per mezzo del treno più caro del mondo (la tratta completa Cuzco – Macchu Picchu costa 600 dollari per 3 ore di viggio). Stremato torno al mio ostello a tarda notte, e dormo il sonno dei giusti, come si direbbe….

La seconda Panda-avventura si chiama “Valle Sagrado dell’Inca”, ma (forse) la racconterò un’altra volta perchè ora la Cuzquena da 620ml sta prendendo il sopravvento sulla mia volontà…