Alla volta di Pescara

Se vuoi fare qualcosa di divertente puoi andare a Pescara l’8 Marzo e correre la Alleycat di Seahub. Ma se vuoi fare una cosa ancora più divertente ci puoi andare in bici.

Per la prima volta mi avventuro in un coast to coast tutto made in Italy (anche la bici)  con un Appennino di mezzo: da Roma a Pescara con altri 3 scalmanati.

I recenti collaudi della Hobo le impongono di rimanere ancora un po’ in officina, e poi domani mi sa che si corre. Ho scelto di andare con la bici da corsa. Ho colto quindi l’occasione per sperimentare la mia nuova modalità di carico in stile Hypercycling con tutti i pacchi montati con riguardo all’aerodinamica e al peso.

IMG_0554

Prima tappa Avezzano, domani, poi Avezzano – Pescara che si preannuncia divertente.

Hasta la vista.

Ciò che conta è la bicicletta.

 

1003400_10151943879009236_655562678_n

Quando ho scritto il mio ultimo post, lo scorso Agosto, stavo per partire per l’India. Stavo per ri-partire, dopo due anni di quiete Italiana, mi affacciavo di nuovo sul mondo, il mio terreno di gioco preferito.

 

 

 

mappettaNon ho scritto nulla su quel viaggio, solo alcuni appunti che ho tenuto per me, e non è questa la finalità di questo post. Quello che mi ha lasciato l’India è un appetito che dopo soli 5 mesi dal mio ritorno mi sta riportando sulla strada . Turchia sta volta. In bici finalmente.

 

 

IMG_0469Si è deciso dunque di fare rotta su Istanbul. Itinerario: Roma – Brindisi (treno), Patrasso (traghetto), e poi in bici Atene, Tessalonica, Alessandropoli, Istanbul. Il team è composto da me e Donna Marzia, coinquilina e compagna di avventure cicloattivistiche, il mezzo: due Cinelli Hobo identiche comprate per l’impresa.

Il viaggio inizia nel momento in cui decidi di partire. quindi diciamo che sono in viaggio da un paio di settimane. Bollettino di viaggio:

Km percorsi: zero. Km all’arrivo: tutti. Stato del mezzo: La bici va una bomba con la dotazione di serie, ho regolato il manubrio sul massimo dell’altezza e ho messo la sella brooks che sto iniziando a “scalfire”. I portapacchi originali sono stati rimossi e ho messo il mio fedele Tubus Cargo al posteriore. Insieme alle borsette sul telaio e all’Ortlieb anteriore mi sembra una capacità di carico anche eccessiva.. Poi ho montato un secondo manubrio che regge borsa anteriore e tenda. Questo per risparmiare spazio sul manubrio “principale”, su cui invece ho montato una leva ausiliaria per il freno anteriore. Presto aggiungerò computerino-contakm, specchietto e campanello.

Sto studiando bene l’equipaggiamento. Per ora mi sto concentrando su un sistema che mi dia un po’ di autonomia per le luci e il telefono (che voglio usare come navigatore, macchina fotografica, computer e telefono). Al momento credo che porterò una batteria 12V Li-Ion da 10Ah che avevo da un’altro progetto. Teoricamente dovrebbe essere in grado di ricaricare un iPhone oltre 20 volte prima di scaricarsi. Vedremo, siamo in fase di test.

Nota: appena finiscono le piogge frequenti montare Marathon Racer 666×30 e verificare benefici/svantaggi (al momento le “gomme” di serie sembranio essere scorrevoli nonostante la larghezza di 40mm).

La soglia del silenzio

Forse la città deserta, forse il silenzio rotto solo dai treni che passano sotto la mia finestra o forse l’imminente partenza. Non lo so cosa mi ha riportato su questo blog, sono di nuovo in viaggio.

Stasera sono andato a mangiare un cevice de pescado vicino al Pigneto. Mi ha riportato in Peru. Il coriandolo e il peperoncino mi hanno fatto venire voglia di rimettermi sulla strada, di assaporare l’incertezza ancora una volta.

Tutto scorre, non puoi fermare il tempo, tic tac. Faresti meglio invece a salire sul treno in corsa, che sia un vagone passeggeri, una locomotiva a vapore o una montagna russa, non ti è dato scegliere. E così sono stato travolto dagli eventi di questo 2013. Ha preso il fugone alla velocità della luce e io a corrergli dietro, tra siti di pediatri, doppiatori isterici e camere d’aria.

Ho conosciuto gente della madonna, come il grande Massimo Corvo, direttore del doppiaggio, e i miei meccanici di bici preferiti Tudor e Nario.

Ho letto anche un paio di libri di viaggio notevoli:

– Robinson Crusoe, la storia di quello che può fare un uomo dotato di determinazione;

– Mondoviaterra di Eddy Cattaneo che è diventato il mio libro di viaggio preferito.

Ora si parte, martedì è il grande giorno numero mille. India sta volta. Mi emoziono solo a scriverlo. India.

Action agli Orti di Greta

Un assaggio di vita quotidiano agli Horti. Non molta acqua è scorsa sotto i ponti, eppure noi abbiamo già finito i primi 9 bancali, anche grazie al prezioso arrivo dei rinforzi, Mirko e David si sono infatti arruolati nelle fila da oltre due giorni, e la velocità è schizzata a livelli Fortunadrago. Enjoy.

Apparente-mente, tre spunti senza un perché.

Apparentemente sono passati vari mesi dall’ultima volta che ho aggiornato il mio blog.

Se state leggendo queste parole, vi sarete accorti che non siete più su Pandamericana, ma sul nuovo blog Süd Mood. Va da sè che non essendo più in America, ma pur sempre al Sud… insomma ci siamo capiti.

Allora. Dopo aver passato oltre dieci mesi lontano da casa, ho cominciato a provare Nostalgia, e mi sono ricordato di un libro di Kundera che ho letto parecchio tempo fa. Mi aveva colpito un passaggio in cui si parlava della Nostalgia, allora sono andato a cercarlo e l’ho trovato. Il libro si chiama “L’Ignoranza” (Adelphi, Milano 2001) e questo testo lo trovate a pagina 11:

In greco «ritorno» si dice nóstos. Algos significa «sofferenza». La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca(nostalgia, nostalgie), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono añoranza, i portoghesi saudade. In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall’impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice homesickness. O, in tedesco, Heimweh. In olandese:heimwee. Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l’islandese, distingue i due termini: söknudur: «nostalgia» in senso lato; eheimfra: «rimpianto della propria terra». Per questa nozione i cechi, accanto alla parola «nostalgia» presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: stesk, e un verbo tutto loro; la più commovente frase d’amore ceca: styská se mi po tobe: «ho nostalgia di te»; «non posso sopportare il dolore della tua assenza».

Ciò detto, mi ricordo anche che il resto del libro era piuttosto contorto, forse a quel tempo ero troppo giovane per capirlo, mi succedeva sempre, mi leggevo Kundera ma non ci capivo niente.



Poi, sempre per la serie Nostalgia, mi sono rivisto ieri la puntata numero 1 di “Disoccupato in Affitto”, il docufilm di Pietro Mereu e Luca Merloni in cerca di un distributore… Ho pensato due cose: uno che l’Italia è un guaio e non so come farò quando torno, e due che l’Italia è bellissima, e che in fin dei conti gli Italiani non sono poi così male:


[youtube http://www.youtube.com/watch?v=HvCJuDyosHo?rel=0&w=480&h=360]


Il terzo spunto me lo sono scordato…




Cosa ho visto.

Non esiste un vocabolario online di greco antico, e qui in Perù non sono molto diffusi nelle librerie, ma se non ricordo male, in greco antico il verbo “sapere”, oìden, è in realtà costituito dalla radice del verbo “vedere”, nella sua forma di aoristo, ovvero uno dei tempi passati, corrispondente più o meno al nostro passato remoto. Ad un livello molto elementare si potrebbe dire che in greco antico “io so” si dice “io vidi”.

La Pandamericana è giunta per la seconda volta a Lima, partendo da Buenos Aires, via terra. Tra poco lascerò il Continente. Tutto questo mi fa riflettere. Chi ero prima di partire e chi sono ora. Cosa ho imparato.

Quando sono partito, poco più di sei mesi da ora, non avevo idea di quello a cui stavo andando in contro. Avevo un taccuino pieno di appunti, dati, tempi di percorrenza, prezzi. Avevo un piano. Pensavo di arrivare in Centroamerica, e da lì prendere un aereo (o una barca) per l’Australia. Sono arrivato a Lima (due volte), e prenderò un aereo per il Canada. Pensavo di visitare paesi che non ho visitato, e non immaginavo che sarei stato  nè in Cile, nè in Urugay, nè in Brasile, nè in Paraguay. E invece ci sono finito.

Ho visto molte cose, ho conosciuto moltissime persone, e ho avuto un’infinità di tempo per  riflettere. Ho scavato dentro di me, mi sono gingillato nel passato e nel futuro. Ho imparato a stare nel presente e a parlare in spagnolo con chi non voleva parlare.

Voglio cogliere l’occasione per ringraziare e salutare tutti quelli che hanno condiviso parte di questo cammino con il sottoscritto. La maggior parte di loro rimarrano senza nome, come la signora che mi sgridò a Uyuni, Bolivia, quando feci una foto a suo figlio. O come il ragazzo del Perurail, a cui abbiamo incasinato il vagone scambiandoci di posto nel treno da Cusco a Ollantaytambo. O come il tizio che mi faceva il succo di “mango con leche” ogni mattina nel mercato di Magdalena, a Lima. Poi c’è Julia, la signora che allevava le sue pecore, raccoglieva le sue erbe per farne pigmenti naturali, e dopo la tosatura filava la lana e tesseva meravigliosi “telar” nelle montagne vicino a Chinchero, nel Valle Sagrado del Inca. Ci sono Josh (NZ), Jonathan (USA), Miz (AU), Remco e Manuel (Olanda), Lucia (Argentina), Hugo (Spagna), Cat (GB), Mio (Jap) e la sua compagna dal nome irricordabile, Juan (Urugya), Bruna e Leandro e Hamiltom (BR), Freddy (Peru), lo sciamano che mi ha guidato in un’esperienza fondamentale di questo viaggio e moltissime altre persone che non leggeranno mai questo blog, ma a cui voglio dire “grazie” e “ciao ciao”.

Ora questa avventura sta per finire, una nuova è pronta per cominciare e di nuovo non so immaginare quello che mi aspetta, ma a differenza dell’ultima volta, ora so di non saperlo.

Cuzco connection.

Mentre la partenza per il Canada si avvicina, e sento il continente che mi scivola sotto le suole consumate delle uniche scarpe che posseggo, mi accingo a raccontare le ultime Panda-gesta.

Dopo La Paz, una lunga traversata in autobus mi porta a Cuzco, la città che fu un tenpo capitale del grande impero Inca, e che oggi è capitale dell’impero turistico peruviano. Una città molto, molto, molto bella, dove le antiche mura fatte di pietre tagliate (non si sa come) alla perfezione fanno da fondamenta agli edifici post-conquista. A parte le folle di gringhi ed israeliti insopportabili, Cusco possiede un’inifinità di cose da vedere nel raggio di pochi kilometri.

La prima Panda-avventura si chiama Salkantay. Un tour di 5 giorni, 80km e più di 8000 metri di dislivello totale, tutto a piedi, fino a Macchu Picchu, il celeberrimo sito archeologico che rappresenta la fortuna della città (e anche l’etichetta della migliore birra peruviana). Tra montagne altissime e avvolte nella nebbia, e cloud forest, cammino con altri viaggiatori (Inglesi, Argentini, Uruguaiani, Spagnoli, Inglesi e Giapponesi), a volte avvolto (che allitterazione!) nelle pesanti sciarpe di alpaca, a volte sudando in pantaloni corti. Il primo e secondo giorno sono estremi, si cammina senza sosta, anche per dieci ore al giorno, e si dorme in tenda, spesso nel freddo umido delle Ande altissime.

Il quinto giorno è il Grande Giorno. Il Macchu Picchu Day. Ci svegliamo ad un’ora improbabile, è ancora buio. Ci dirigiamo verso il primo cancello del sito per correre su, su, su fino all’entrata di Macchu Picchu e ottenere il timbro che ci permetterà di salire fino al Wainapicchu, la montagna di fronte al villaggio Inca. E’ una gara tra turisti assonnati e sudati, ma ce la facciamo, anzi ci difendiamo piuttosto bene, grazie ai quattro giorno di allenamento…

Ma per il Wainapicchu non basta il timbro, non c’è una scala mobile che ti porta su, bensì un’altra serie interminabile di scalini ognuno alto come un bambino tedesco di 25 anni, ovvero circa 1,83m. La vista ripaga (in parte) lo sforzo.

Il tour si conclude con il ritorno a Cusco per mezzo del treno più caro del mondo (la tratta completa Cuzco – Macchu Picchu costa 600 dollari per 3 ore di viggio). Stremato torno al mio ostello a tarda notte, e dormo il sonno dei giusti, come si direbbe….

La seconda Panda-avventura si chiama “Valle Sagrado dell’Inca”, ma (forse) la racconterò un’altra volta perchè ora la Cuzquena da 620ml sta prendendo il sopravvento sulla mia volontà…

Ode amorosa alla Pachamama declamata in un mercato di Cuzco.

Seduto dalla signora dei succhi, leggendo il Cuzqueno e sorbendo il mio liquado di ananas e fragola, piña y fresa por favor, con agua, es agua herbida verdad?, con l’occhio che mi cade sul mazzetto verdeggiante di alfalfa e sullo sfondo di talee di aloe vera che spuntano tra le granatine e le papaya giganti, fertili di semi avvolti in quella loro melmetta trasparente, una sorta di bile vegetale sacra. Mi sposto di non più di quindici metri prima di farmi convincere da un’altra signora, tutta in bianco come le sue colleghe, a prendere posto nella minuscola panca davanti al suo banchetto. Ordino un lomo saltado, con palta por favor, sarebbe l’avocado (o ahuacate), a seconda della bioregione. Mi ingozzo per non distinguermi dagli altri, mentre la signora segue affacendata con gli altri clienti. Un arroz con pollo, un huevo revuelto, un refresco de piña, es agua herbida verdad? es agua hervida papito lindo!. Le amo, lo so che l’ho già scritto, ma quando mi chiamano “papito”, o meglio ancora “papito lindito”, il mio cuore scoppia di amore nei confronti di queste donne sapienti, delle loro mani che hanno già superato le mille tonnellate di patate sbucciate, dei loro grembiuli a quadretti (bianchi e rosa o bianchi e azzurri). Tutta la cordigliera si regge sulle spalle di queste creature meravigliose, istanze terrene dell’idea stessa di Pachamama, madri e commercianti, guerriere quando necessario. Impossibile non amarle. Il cupido andino è nascosto dietro una montagna di carote gialle e grandissime. Mentre la sua freccia incantata schiva magicamente le borse appese nella bancarella di artesanias,  sfiora i lama sacrificali stecchiti tra le erbe medicinali, passa in mezzo ai due pan dulces della signora con le trecce lunghissime, per poi finalmente colpirmi, io sto finendo il mio piatto.Uscendo dal mercato mi rendo conto di amare questo paese e questo continente, colorati e pieni di vita. Pieni di diversità, di contraddizioni ma soprattutto di affetto tra le persone, e ripenso alla signora che mi ha chiamato “papito lindo”…

I Girardengo dii poveri s’aa Strada daa Morte.

Ce sta ‘na città ‘n Bolivia che se chiama La Paz. Anche se sapemo bbene che de capitale ce ne sta una sola ar monno, dicheno che questa qua è a più arta de tutte. Poi ce sta ‘na strada, a “Strada daa Moorte”, che ‘n po’ come l’Appia che ce porta da Roma ai Castelli, questa qua te porta da La Paz a Coroico. Però, e qua er però ce sta ttutto, tocca dì ch’aa Strada daa Morte scende de più de tremila metri. Praticamente inizia a quasi sciunquemila metri d’artitudine, pe arrivà a manco millecinque.  Sta stradella qua, io e er sor Tommy, saa semo fatta en bici, e ve lo dico cari amisci, e ‘na bbomba!

Iniziamo de bon mattino a La Cumbre, fa ‘n freddo cane, ce sta a nebbia e minaccia pure de piove. Man mano che scennemo, a strada se fa sempre più brutta, fino a che, a ‘na certa, se ritrovamo a core su ‘na mulattiera sterrata a ttuttaa bbira. Piano piano er paesaggio cambia. Prima tutto deserto, poi, più ggiù, se inizia a véde una veggetazione tipo naa ggiungla, anche se ancora stamo a svariati metri d’artezza. L’aria se fa più carda e morto più umida, tipo d’estate a Roma, pure peggio pe’ divve. Ce stanno dei ruscelletti che tocca attraversà caa bici, e che ve lo dico a fa’, ce stanno varie gringhe che se arenano e se fanno’n bagnetto fuori programma… Poi artre cascatelle da passacce sotto e così via.

Aaa fine de tutto ce sa sta na salitella de sciunque minuti, dic’aa guida. Però a me, e pure all’artri, nun ce pare na salitella, anzi disciamo che ce sventra. Finarmente arivamo alla fine de sti sessanta chilometri de pura tecnica ciclistica, stremati e ch’ee gambe che fanno ggiacomo-ggiacomo, ma contenti d’esse du Girardengo dii poveri…