Alcuni aggiornamenti…

San Miguel de Tucuman, Argentina
 
Cari amici,
dall’ultima volta che ho aggiornato questo blog sono successe una miriade di cose che sarebbero degne di nota. Proverò a riassumere in breve le avventure capitatemi.
 
Da Esquél, l’ultima città da cui ho scritto, abbiamo preso la decisione di scendere a Sud per il Cile. All’apparenza, e secondo molti altri viaggiatori incontrati sulla carretera, sembrava essere la soluzione più invitante. Ci avrebbe permesso di evitare la famigerata Ruta 40, nota ai mochilleros (ovvero i viaggiatori zaino in spalla) per la sua difficoltà, nel mezzo di un deserto sferzato da venti impetuosi, e scarsamente popolata. Dunque decidiamo di dirigerci verso il vicino passo di frontiera, che porta il nome di Futaleufu, ovvero “Grande Fiume” nella lingua Mapundungun.
 
Nell’autobus incontriamo 3 ragazzi argentini, subito soprannominati i Chicos, che ci accompagneranno per un bel pezzo, Nico, Pia ed Elias. Sono tre giovani provenienti dalla banlieu di Buenos Aires, e finanziano il proprio viaggio con lavori di artigianato che vendono per strada. Viaggiano con pochi soldi e tantissima attrezzatura. Tende, sacchi a pelo, tutto l’occorrente per lavorare, una cucina portatile e molto altro ancora. I loro zaini pesano moltissimo, ma non si lamenteranno nei due giorni di camminata che stiamo per affrontare (anche se ancora non lo sappiamo).
 
Arrivati a Trevelin, una piccola colonia Gallese, il grande dio dei viaggiatori che ci protegge e ci aiuta, ci manda un pulmino guidato da Hernan, il Cileno, che ci porta (gratis) fino al paesino cileno di Futaleufù, appunto. Non mi dilungherò contandovi le lunghe procedure doganali a cui gli spocchiosi ufficiali cileni ci sottopongono, né vi dirò come ci siamo ingozzati di carote e mele in ottemperanza al divieto di importazione di vegetali freschi….
 
Arrivati dunque in Cile, incautamente sprovvisti di moneta locale, e pieni di fiducia negli autisti locali, ci incamminiamo per una strada di montagna che costeggia il Grande Fiume, e che ci regala una vista splendida delle montagne fiorite. Per ora fa solo freddino, buono per camminare carichi come muli…
 
Di lì a poco ci rendiamo conto che fare autostop è fuori discussione, non si ferma nessuno dei pick-up gringhi che sfrecciano sullo sterrato, e dopo lunghe ore di camminata e molto mate, sopraggiunge il freddo. Decidiamo di elemosinare ospitalità presso una contadina che ci permette di piantare le tende davanti a casa sua, ci fornisce acqua fresca e legna per il fuoco. Più tardi si uniranno a noi tutti i componenti della famiglia, curiosi di vedere questi 6 stranieri di 4 nazionalità diverse che non hanno idea di dove stiano andando…
 
Passata una gelida notte (per me insonne), ci rimettiamo in cammino di buonora, appena in tempo per perdere l’unico autobus che passa in quella remota landa. Non ci resta che camminare e camminare. Giungiamo ad una specie di lodge per pescatori, dove un tal Eliseo si muove a compassione, e ci prepara del pane fatto in casa, del mate e ci vende il formaggio che produce personalmente. Dopo esserci rifocillati e riposati, paghiamo profumatamente Eliseo perché ci porti a Villa Santa Lucia, dove Ugo e i Chicos piantano la tenda davanti al “Supermercato” (non più di 12 metri quadri di negozietto riscaldato a legna), mentre io e Lizzette ci concediamo un ostello con doccia calda e materassi veri, come quelli di casa o quasi.
 
La giornata seguente trascorre tra tentativi fallimentari di autostop sulla Carretera Austral, e nell’attesa di un autobus, o “collectivo” come dicono qui, che parte con due o tre ore di ritardo. Nel frattempo ci rifugiamo in una presunta sala da tè per sfuggire alla pioggerellina che insieme al freddo dà vita a un cocktail più letale del polonio. Fin’ora abbiamo percorso circa 120 dei 10.000 chilometri che due giorni prima ci separavano dalla meta, Ushuaia.
 
Arriva l’autobus che ci porta a la Junta, altri 70 chilometri, altri peso cileni per dormire, altro freddo. Contrattiamo un po’ con un signore che ci lascia dormire in un capanno di legno in costruzione che un giorno diverrà una “cabana”, ovvero una specie di baita per i turisti, e che almeno è fornito di stufa (ma non della legna che siamo costretti a rubare durante la notte), e di una cucina, dove rifocillo tutti i miei compagni di viaggio nonché la famiglia del mio ospite con una ricetta famosissima: l’Amatriciana Cilena!!! Viene abbastanza pessima e scotta, ma tutti si complimentano con me. La fama Italiana è salva, e la fame dell’italiano saziata.
 
Passiamo la notte insonne a cazzeggio, incollati alla stufa, raccontando storie di viaggio e imparando l’arte di tessere braccialetti. Elias sopraffatto dal sonno rischia di cadere di faccia sulla stufa incandescente. Prepariamo gli zaini, laviamo i piatti, asciughiamo i vestiti sulla stufa (leggi: “bruciamo i vestiti sulla stufa”) e di buon mattino collassiamo sui sedili di un costosissimo collectivo che ci porta fino a Coyhaique, ancora più a Sud, nella Patagonia Cilena.
 
È una cittadina ricca, un sacco di turismo e di negozi, wi-fi ovunque. Ci sistemiamo nell’ennesimo ostello dove dormiamo in 6 in 4 letti, per risparmiare. Il cile ha rotto il cazzo, è caro e freddo, bisogna dividere tutti i prezzi per 130 per fare la conversione, e nessuno si ferma se fai autostop.
 
Torniamo in Argentina! Lo facciamo con un autobus e poi un traghetto che attraversa un lago cristallino, e poi vari passaggi fino a Los Antiguos. Siamo di nuovo a casa, in Argentina, e i prezzi non vanno più divisi per 130, ma solo per 5. Questo semplifica notevolmente i calcoli.
 
Los Antiguos non è male, si trova nella provincia di Santa Cruz, sinonimo di venti estremi. Infatti la città è cosparsa, molto permaculturalmente, di barriere antivento fatte con filari di alberi che credo siano Pioppi simili al Tremulo. Inoltre ci sono molti “chacras”, appezamenti di terreno utilizzati per coltivare di tutto. Dalla frutta, alle rose, agli orti. Io e Lizzette decidiamo che il ritmo di avanzamento e la temperatura non sono compatibili con la nostra meta natalizia (Lima, Perù, circa 15.000km a Nord). Ci separiamo dagli altri.
 
E così i Chicos vanno per la loro strada fatta di braccialetti e autostop, Hugo prosegue con un belga conosciuto sul suddetto traghetto, direzione El Calafate, dove c’è l’unico ghiacciaio attivo del mondo (Perito Moreno), e io e la mia compagna di viaggio prendiamo per il nord, con un tour de force di una cinquantina di ore tra autobus e attese che ci porterà a Cordoba, a Nord di Buenos Aires. Sul cammino ci fermiamo alcune ore a Caleta Olivia, l’emblema della bugia capitalista Argentina. Circondata da diversi pozzi di petrolio, la città è brutta da far paura, e nella piazza principale una statua di bronzo raffigura un operaio che manovra un qualche rubinetto oleodottifero. Non vedo ricchezza in torno a me, e il fiero operaio con il caschetto e gli anfibi mi sembra patetico, e lo è. Il fiume di cash scorre verso altre latitudini, altri emisferi.
 
In breve: gli ultimi tre giorni li abbiamo trascorsi in tranquillità a Cordoba, ospiti dal genetista-attore-couchsurfer Hernàn e dei suoi ottimi coinquilini, con cui discutiamo di soia transgenica e glifosato. La città è un polo culturale in questa nazione. Piena di teatri, negozietti chic, designers e stilisti.
 
Fallito nuovamente il tentativo di fare autostop, prendiamo un bus fino a Tucuman, dove mi trovo ora. Oggi Hugo mi ha mandato un messaggio. È a Ushuaia, ce l’ha fatta, e ce l’ha fatta in autostop. Grande Hugo!