Ode amorosa alla Pachamama declamata in un mercato di Cuzco.

Seduto dalla signora dei succhi, leggendo il Cuzqueno e sorbendo il mio liquado di ananas e fragola, piña y fresa por favor, con agua, es agua herbida verdad?, con l’occhio che mi cade sul mazzetto verdeggiante di alfalfa e sullo sfondo di talee di aloe vera che spuntano tra le granatine e le papaya giganti, fertili di semi avvolti in quella loro melmetta trasparente, una sorta di bile vegetale sacra. Mi sposto di non più di quindici metri prima di farmi convincere da un’altra signora, tutta in bianco come le sue colleghe, a prendere posto nella minuscola panca davanti al suo banchetto. Ordino un lomo saltado, con palta por favor, sarebbe l’avocado (o ahuacate), a seconda della bioregione. Mi ingozzo per non distinguermi dagli altri, mentre la signora segue affacendata con gli altri clienti. Un arroz con pollo, un huevo revuelto, un refresco de piña, es agua herbida verdad? es agua hervida papito lindo!. Le amo, lo so che l’ho già scritto, ma quando mi chiamano “papito”, o meglio ancora “papito lindito”, il mio cuore scoppia di amore nei confronti di queste donne sapienti, delle loro mani che hanno già superato le mille tonnellate di patate sbucciate, dei loro grembiuli a quadretti (bianchi e rosa o bianchi e azzurri). Tutta la cordigliera si regge sulle spalle di queste creature meravigliose, istanze terrene dell’idea stessa di Pachamama, madri e commercianti, guerriere quando necessario. Impossibile non amarle. Il cupido andino è nascosto dietro una montagna di carote gialle e grandissime. Mentre la sua freccia incantata schiva magicamente le borse appese nella bancarella di artesanias,  sfiora i lama sacrificali stecchiti tra le erbe medicinali, passa in mezzo ai due pan dulces della signora con le trecce lunghissime, per poi finalmente colpirmi, io sto finendo il mio piatto.Uscendo dal mercato mi rendo conto di amare questo paese e questo continente, colorati e pieni di vita. Pieni di diversità, di contraddizioni ma soprattutto di affetto tra le persone, e ripenso alla signora che mi ha chiamato “papito lindo”…